Impronte di gatto

Trama e recensione di Impronte di gatto, opera di Detlef Bluhm, edito da Corbaccio

“Se fosse possibile incrociare l’uomo con il gatto, la cosa migliorerebbe l’uomo, ma di certo peggiorerebbe il gatto” diceva Mark Twain. Questa creatura straordinaria è stata molto amata, ma anche molto odiata per secoli, da quando abbiamo testimonianza del rapporto tra uomo e gatto come animale domestico, almeno dal 9000 a.c. Da sempre è caratterizzato da una duplicità intrinseca, regale ma buffo, indipendente ma affettuoso, divino o demoniaco.

Detlef Bluhm ci presenta una serie di “impronte” di questo affascinante felino nella storia, nell’arte, nella letteratura, nel cinema. Sempre protagonista, diventa spesso uno spirito ispiratore, un viaggiatore fedele al fianco del padrone, divinizzato e demonizzato alternativamente a seconda del periodo storico o del luogo. E’ infatti l’unico animale domestico ad essere diventato una divinità egizia e, con tutta la sua eleganza, ha rivestito con onore questo ruolo. In altri periodi storici, come ad esempio nel Medioevo, subisce persecuzioni e uccisioni di massa per motivi legati alla religione, ma sicuramente soprattutto all’ignoranza. La parte in cui l’autore descrive quando venivano bruciati sul rogo come le streghe o murati vivi nelle case in costruzione per buon auspicio è sicuramente molto forte, ma al tempo stesso interessante perché è un po’ trattato di sociologia e ci aiuta a capire, o almeno solo a conoscere, anche tanti comportamenti assurdi dell’uomo nella storia.

Ciò che permea tutto il volume è il senso di inafferrabilità del carattere del gatto, che ha sempre negli occhi quel misto di superbia e di sarcasmo, peculiarità che però lo rende in effetti così speciale. Molti lo odiano per la sua indipendenza, ma è proprio questo tratto, insieme alla sua capacità di essere anche estremamente affettuoso che crea un mix perfetto e lo rende così unico tra gli animali domestici.