In una sola persona

Malgrado ogni cosa di me urli «no!», la somma delle mie parti sospira «sì»!

Nel nostro percorso di esseri umani, siamo accomunati gli uni gli altri non solo dalle imprescindibili tappe della nascita e della morte, che inaugurano la nostra esistenza per celebrarne poi la fine; c’è qualcos’altro che contribuisce a renderci simili, per quanto diversi, ed è l’amore.

Nessuno può vivere la propria vita senza sperimentare mai una qualche forma di amore. Che si tratti di amore di sé o di amore per qualcosa che sta al di fuori di noi stessi, ognuno di noi fa almeno una volta nella vita i conti con quel sentimento che, parafrasando Irving, ci scuote dall’interno con la forza del sospiro di ogni nostra molecola.

In In una sola persona si parla prima di tutto d’amore. Nella sua accezione più vasta. Al di là di ogni categorizzazione e al di là di ogni idealizzazione, romantica e non. Perché in tutte le sue forme l’amore è prima di tutto pulsione; è in ogni caso una lama che ti trafigge la carne e che lascia il segno, nel bene e nel male.

Quello di cui narra Irving è un amore che ci riporta indietro nel tempo fino al Vermont degli anni Cinquanta per poi ricondurci ai giorni nostri, scandendo le tappe di un percorso di auto-consapevolezza lungo quanto tutta l’esistenza del protagonista; un amore oggetto e soggetto di cambiamento, che strada facendo diventa (e deve diventare) prima di tutto accettazione e amore per noi stessi. Esseri umani fragili e imperfetti.

Mio caro ragazzo, ti prego di non etichettarmi, di non incasellarmi in una categoria prima di conoscermi!

Quella di William Abbott è la storia di un ragazzino bisessuale e del suo diventare adulto, a fianco di uomini e di donne che assieme a lui “divengono”, accettando di trasformarsi in ciò che realmente sono oppure – al contrario – rimanendo aggrappati all’immagine granitica di loro che gli altri proiettano sui muri grigi della convenzione. Un’immagine deformata che William rifiuta, con infinita passione tanto quanto con sofferenza, intraprendendo un cammino che lo condurrà a riconoscere in sé, accettandoli, gli aspetti di quella che è definita “anormalità” e che nient’altro è, invece, se non “umanità”. Non perversione, non deviazione, non depravazione: solo umanità; solo amore.

Come ha scritto Edmund White, il meraviglioso romanzo di Irving non può che renderci «orgogliosi di essere umani», scoprendoci nudi e fragili mentre cerchiamo di combattere contro i mostri potenti del pregiudizio e della differenza, anche e soprattutto quando a generarli è la nostra stessa anima, terrorizzata nel sentirsi diversa.

Ma diversa da cosa? E da chi? Siamo fatti della stessa carne, e ci muovono le stesse passioni. Soffriamo allo stesso modo, e l’amore ci trafigge la carne nella stessa maniera. Uno, cento, mille modi di essere umani, in una sola persona.

Perché qui c’è molto a che fare con l’odio, ma più ancora con l’amore.