Scrittura creativa

I dialoghi

Provate a immaginare come potrebbero esprimersi i due protagonisti della nostra ipotetica trama. In dialetto? Con poche frasi lapidarie? Con tono sprezzante o con una certa lentezza, perché prima di parlare ci pensano sempre su due volte… non si sa mai? Provate adesso a immaginare come parlerebbero se si dovessero incontrare con i nostri due impiegati d’ufficio, fuori dal loro solito ambiente. Riuscite a sentire come cambierebbe il tono delle loro parole?

Questi esercizi di immaginazione vi sono utili per iniziare a cimentarvi con la scrittura dei dialoghi. Se partite da una caratterizzazione efficace dei personaggi allora sarete già a buon punto.

Tenete presente che l’unica ricetta per un dialogo ben riuscito è la credibilità: i dialoghi non devono essere realistici o spontanei, cioè, i personaggi non devono parlare come farebbero nella realtà, ma devono parlare come richiesto dalla narrazione, in altre parole coerentemente al mondo che avete creato apposta per loro. Così come per le azioni, anche attraverso le parole i personaggi esprimono le proprie intenzioni; non spiegano sé stessi, non delineano un quadro chiaro di chi sono e cosa vogliono, semmai ne danno solo qualche indizio, sarà il lettore a trarre le sue conclusioni.

Esempi elementari: se un personaggio parla in dialetto, intuiremo facilmente qual è il suo background, se inizia a balbettare, invece, inizieremo a farci un’idea del suo stato d’animo e così via. Per questo gli interventi del narratore sui dialoghi diretti devono essere molto concisi e mirati, limitandosi a introdurre la scena parlata o ad aggiungere tutto ciò che da un semplice scambio di battute non è deducibile, come il linguaggio del corpo, il tono di voce (anche se in questo ci viene in aiuto la punteggiatura) o il luogo in cui avviene un dialogo.

«L’orologio retroilluminato segnava le 20:00. Al di là della porta non si sentiva più alcun rumore, erano tutti corsi a casa già da un paio d’ore. Dentro quello sgabuzzino chiuso, al buio e senza finestre, scatoloni colmi di pratiche archiviate e nessun posto su cui sedersi senza insozzarsi di polvere. Lui, instancabile, seguitava a colpire la porta con la spalla senza mostrare alcun sintomo di dolore.
“Pensi di riuscire ad aprirla così?” Disse lei da dietro le sue spalle».

Oppure: «“Pensi di riuscire ad aprirla? Così?” Disse lei con un mezzo sorriso sulla faccia».

O ancora: «“Pensi di riuscire ad aprirla così-ì?” Disse lei torcendosi le mani».

Notate la differenza? Sicuramente sì, sono tre dichiarazioni che attribuiscono alla nostra impiegata ben tre caratteri diversi, tre caratteri che potrebbero far prendere alla narrazione altrettante direzioni differenti. Ricordatevi, quindi, che un dialogo è fatto per portare avanti la narrazione, non per riassumere al lettore dettagli che forse non gli sono chiari. Per assolvere a questa funzione, per riassumere in poche righe una conversazione che sulla pagina risulterebbe troppo lunga, esiste il discorso indiretto. «Lui, instancabile, seguitava a colpire la porta con la spalla senza mostrare alcun sintomo di dolore. Lei gli chiese se pensava così di riuscire ad aprirla».

Ricordatevi sempre di utilizzare, calibrandoli bene, entrambi i metodi, altrimenti, il rischio è quello di scrivere dei dialoghi da soap opera, in cui i personaggi hanno bisogno:

  • di ripetere sempre le stesse battute per riprendere dal punto esatto in cui è finita la puntata del giorno prima;
  • di riassumere allo spettatore le diecimilacinquecentonovantanove puntate precedenti.

E, a proposito di soap, evitate accuratamente i luoghi comuni, frasi del tipo «Io sono tuo padre» o «Ti lascio andare perché ti amo». Se un personaggio è mosso da un conflitto, infatti, costretto a parlare si esprimerà secondo i sentimenti scatenati da tale conflitto: con passione, con disperazione o gioia, talvolta senza sapere nemmeno cosa stia dicendo, questa volta sì, proprio come avviene nella realtà.

Di seguito qualche suggerimento basilare da tenere presente nella stesura dei vostri dialoghi:

  •  Non siate mai troppo espliciti nei vostri dialoghi: quante volte vogliamo dire qualcosa ma abbiamo paura di farlo? Oppure cerchiamo dei giri di parole per non essere troppo diretti? Ecco, parallelamente, un dialogo letterario ha sempre un suo sottostesto. Essere troppo espliciti significa essere poco credibili (nessuno lo fa), e spesso anche noiosi.
  • Ogni dialogo deve essere un continuum nella narrazione, non può assolutamente mai dare l’impressione di spezzarla. Quindi, come per qualsiasi altro evento narrato, deve avere un suo perché, posizionarsi nell’evoluzione del racconto e quindi portare un, seppur minimo, cambiamento di qualsiasi tipo.
  • Il dialogo non può mai cadere nella pura retorica: non serve a dare prova delle vostre capacità letterarie. E nemmeno deve servirvi come espediente per spiegare qualcosa che vi risulta difficile chiarire altrimenti: non è una mera esposizione dei fatti, bensì un incontro/scontro dialettico tra due o più personaggi con un obiettivo, qualcosa da dimostrare o dire  (anche solo in questo senso la storia, per esempio, cambia: uno dei dialoganti avrà la meglio, la sua posizione vincerà sulle altre, oppure ci sarà una lite ecc.).
  • Leggete i dialoghi dei vostri autori preferiti e… studiateli a fondo!

 

 

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