La casa dei sette ponti

Mi piace Mauro Corona. La sua tenacia, la schiettezza un po’ burbera, le mani grandi in un corpo minuto ma più coriaceo del legno di corniolo. Uomo dei boschi, alpinista provetto e apprezzato scultore che, nell’antro della sua “tana-bottega” di Erto, in Val Vajont, alterna passeggiate, arrampicate in montagna al lavoro con bulini e scalpelli, traendo ispirazione per i suoi libri. Così appare Corona, e così se lo immaginano i lettori, come un uomo d’altri tempi, quasi un personaggio da romanzo…

In effetti, fantasia letteraria e realtà, in questo artista e scrittore friulano – autore di bestseller, come Gli occhi del bosco, Fantasmi di pietra, Torneranno le quattro stagioni, vincitore del Premio Bancarella 2011 con La fine del mondo storto (Mondadori, 2011)… – si fondono per raccontare storie magiche e antiche, scolpite nel legno e nella roccia.

E una magia misteriosa ammanta anche il suo ultimo romanzo, La casa dei sette ponti, favola gotica e allegoria esistenziale sulla perdita e sulla riscoperta di legami autentici. Un “tortuoso” luogo dell’anima in cui ricordi, dolori e gioie reali si fondono e confondono per indicare la strada… lungo una valle solitaria dell’Appennino tosco-emiliano, “aspra quanto serve per intimorire il viandante”.

E proprio in quel luogo, appartato e ombroso, ecco spuntare tra le rocce una casetta umile, “dall’apparenza antica”, con due comignoli sempre fumanti, d’inverno come d’estate, e un bizzarro arcobaleno di teli colorati per tetto: “Un esempio di resistenza alle avversità della vita, alla corrosione del tempo, alla povertà accettata in silenzio”. Ma chi c’è lì dentro? Chi accende il fuoco ogni giorno? Domande legittime… soprattutto perché intorno alla piccola dimora non si vede mai nessuno, quasi fosse abitata da fantasmi o da misteriose entità del bosco.

Fin da subito, il lettore cade preda della curiosità, stregato dall’atmosfera cupa e fantastica che evoca le storie dei fratelli Grimm, seguendo ammaliato il protagonista. Un uomo di mezz’età, “facoltoso industriale della seta in quel di Prato”, capace di tenere testa ai cinesi ma che per varcare la soglia della casetta dovrà attraversare ben sette ponti. I ponti che “cuciono strappi, annullano vuoti, avvicinano lontananze”.

Un piccolo, grande libro che assomiglia a uno scrigno segreto da esplorare con cura, pagina dopo pagina, tra tormento e tentazione.

Una curiosità: per stessa ammissione dell’autore, la casetta del romanzo esiste davvero. Corona la scorgeva in lontananza, solitaria e fumante, ogni volta che attraversava l’Appennino per andare a trovare l’amico Guccini. Una visione suggestiva su cui far germogliare l’idea di questo scritto.

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